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Giacalone attacca Flick su “Libero”. Ecco la replica

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Il 9 febbraio 2013 dalle colonne del quotidiano “Libero” Davide Giacalone attacca Giovanni Maria Flick e la sua campagna elettorale in un articolo dal titolo: “L’ex ermellino Flick fa campagna per Bersani (e gliela paghiamo noi)”. Ecco cosa scrive:

“Quando Silvio Berlusconi descrive la Corte costituzionale quale consesso politicamente orientato e schierato con la sinistra, nonché pronto ad accogliere i ricorsi promossi da aderenti a Magistratura democratica (corrente di sinistra delle toghe), provo fastidio. So che la raffigurazione è realistica, ma i toni pulp contrastano con l’idea che ho delle istituzioni. Quando, però, trovo sui giornali pubblicità elettorale pagata da un presidente emerito della Corte, il quale chiede voti per sé e per “Bersani presidente”, oltre tutto facendo finta di non sapere che la Costituzione vigente esclude che qualcuno si candidi a presiedere il governo, quando vedo Giovanni Maria Flick far campagna elettorale proprio alludendo ai nove anni passati presso la Corte, avverto una certa nausea. Sto forse sostenendo che un ex giudice costituzionale non dovrebbe candidarsi? Sì, esattamente.

Conosco a memoria la gnagnera sui diritti costituzionali che sono uguali per tutti, al punto che ci sono non solo candidati, ma oramai partiti dei magistrati, per giunta chiamati al voto laddove la legge esclude che possano essere eletti, ma conosco anche l’esito di tale improponibile disinvoltura: il massacro degli equilibri costituzionali. Piuttosto credo che molti non conoscano il dettato dell’artico 135 della Costituzione, ove non solo si descrive il perimetro dei potenziali giudici avendo cura di sceglierli fra quanti si sono dedicati al diritto e non alle contese politiche, ma si aggiunge che non possono essere nominati una seconda volta. Perché? Non certo per non dare loro troppo potere, ma per renderli totalmente liberi nelle loro decisioni, talché non debbano in nessun modo compiacere chi (Parlamento o presidente della Repubblica) possa domani riconfermarli. Il giudice costituzionale deve essere totalmente libero, anche solo dal dovere pensare al proprio futuro. A tale scopo, oltre tutto, una volta uscito dalla Corte lo Stato gli garantisce il benessere e non pochi privilegi a vita. Ancora una volta: per riconoscenza? No, per evitare che pensi, nel giudicare, di doversi conquistare la riconoscenza di altri. Tutto questo va a gambe all’aria se uno di questi emeriti prende i soldi che riceve per essere indipendente e li usa per gettarsi nella più naturalmente faziosa delle carriere, vale a dire quella politica. Non conta il giudizio sulla sua indipendenza odierna, conta, e moltissimo, quello sulla sua indipendenza passata.

Come faccio a credere che lo sia stato se in lui batte il cuore di chi si schiera apertamente? Giovanni Maria Flick, inoltre, raggiunse la sfacciataggine di farsi eleggere presidente della Corte il 14 novembre del 2008, salvo decadere il 18 febbraio 2009. Il che non solo viola il citato articolo 135 (ove si stabilisce che il presidente rimane in carica per tre anni), non solo dimostra che pur di essere emerito è stato disponibile a far finta di fare il presidente, per soli tre mesi (Natale compreso), ma esclude che con questo straordinario curriculum sia persona che possa in alcun modo porre questioni sui privilegi altrui. Anzi, aspira a sommare quelli propri a quelli del parlamentare. Intanto vi annuncio il mio: dato che si candida in ben due collegi, Lazio e Piemonte, quale elettore nel primo avrò il privilegio di non votarlo. Lo condivido volentieri con i piemontesi”.

 

Flick risponde con una lettera indirizzata al direttore Maurizio Belpietro e pubblicata il 14 febbraio:

“Caro direttore, Davide Giacalone critica la scelta di candidarmi alle prossime elezioni politiche, perché ciò metterebbe in dubbio la mia «indipendenza passata. Come faccio a credere che lo sia stato, se in lui batte il cuore di chi si schiera apertamente?» [“L’ex ermellino Flick fa campagna per Bersani (e gliela paghiamo noi)”, Libero di sabato 9 febbraio 2013]. È una legittima opinione, alla quale proverò a opporre alcune considerazioni. Ma è accompagnata da un’insinuazione, amplificata dal titolo, che richiede una rettifica.

Per assicurare l’indipendenza dei giudici e la loro libertà, sostiene in buona sostanza Giacalone, «lo Stato gli garantisce il benessere e non pochi privilegi a vita» anche dopo l’uscita dalla Corte. Ma «tutto questo va a gambe all’aria se uno di questi emeriti prende i soldi che riceve per essere indipendente e li usa per gettarsi nella più naturalmente faziosa delle carriere, quella politica». Le cose stanno diversamente. E, a prescindere dai soldi, anch’io non credo affatto opportuno che un giudice o un magistrato passino dalla toga alla candidatura, transitando o meno per il Guatemala. Per questo ho atteso quattro anni. Percepisco la pensione della Corte perché lì ho ricongiunto 40 anni di contributi e non ricevo altri “privilegi” (l’auto di servizio per fortuna è stata abolita). Prima delle attività istituzionali (ministro della Giustizia dal 1996 al 1998; giudice costituzionale dal 2000 al 2009) i miei redditi libero professionali erano almeno cinque volte superiori alle indennità di ministro e poi di giudice costituzionale. Dunque, la mia pensione sarebbe anche più elevata. E se oggi investo importi cospicui per la campagna elettorale (nei limiti consentiti dalla legge) lo faccio utilizzando soldi miei, e per la ragione che non sono candidato in un listino bloccato, benché sia capolista al Senato in Lazio e Piemonte.

Il porcellum vale per tutti, non per le liste minori, sia pure appartenenti a una coalizione, che al Senato devono conquistarsi il quorum del 3% sul campo: proprio come il Centro democratico nell’ambito della coalizione di centrosinistra. Sugli incarichi politici successivi al mandato di giudice costituzionale esistono illustri precedenti: Aldo Sandulli divenne, a distanza di tempo e dopo aver presieduto la Rai, senatore per la Dc; Antonio La Pegola fu ministro e poi parlamentare europeo; Francesco Paolo Bonifacio fu ministro della Giustizia; Aldo Corasaniti senatore per la Sinistra democratica; Leopoldo Elia senatore e poi deputato per la Dc e il Partito popolare. Ho deciso di seguire le loro orme per contribuire a cambiare le regole di questo Paese. Cercherò di farlo con dignità, senza mai perdere di vista lo stile e l’insegnamento del mio maestro Leopoldo Elia.

Grazie per l’ospitalità. Giovanni Maria Flick”

 

Sotto la lettera di Flick  il quotidiano pubblica anche la controrisposta di Giacalone:

“Ringrazio Giovanni Maria Flick per la civiltà della sua risposta. I privilegi dei presidenti emeriti esistono, anche a prescindere dall’auto di servizio, e sono codificati. Li considero anche giusti, ma, come scritto, sono destinati a farne studiosi al di sopra delle parti. Flick osserva che ci sono dei precedenti, in tal senso ricalcando la risposta che mi diede quando considerai scandalosa la pessima abitudine di eleggere presidenti della Corte che restano in carica poche settimane, con ciò violando il dettato costituzionale. E’ vero, ha ragione: ci sono dei precedenti. A me non sembra una buona ragione, ma ad altri basta non essere i soli. 

In quanto ai soldi, mi limito ad osservare che se la sicurezza economica deriva da una pensione assai ricca (anche se all’avvocato pare povera) è più facile attingere ai risparmi. Temo, però, che questa sia proprio la via che porta i politici selezionati per censo e per pecunia. Anche qui ci sono dei precedenti. Perseverare non mi pare saggio.”