Sei in:  GIUSTIZIA > Flick: «Amnistia non necessaria. Dibattito politico ha travisato parole Napolitano»

Flick: «Amnistia non necessaria. Dibattito politico ha travisato parole Napolitano»

comment : Off

di Claudia Farallo per Intelligo News

A margine dell’annuale convegno del Seac, IntelligoNews ha conversato con Giovanni Maria Flick, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, su quell’eterna “emergenza carcere” che affligge l’Italia. «Non credo che si possa parlare di necessità dell’amnistia o dell’indulto», ha dichiarato Flick, aggiungendo quanto «le indicazioni del Presidente della Repubblica» in questo senso siano state «travisate nel dibattito politico». Sui reati legati alle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini, Flick si dichiara favorevole alla depenalizzazione, aggiungendo che c’è anche il problema «di una recidiva che è stata disciplinata in modo da aumentare notevolmente la popolazione carceraria». Sempre sul sovraffollamento, secondo il Professore, «dovremmo ridurre i casi di custodia preventiva, ma anche quelli di pena detentiva stessa». E sull’esistenza di una giustizia diversa tra cittadini ‘normali’ e ‘potenti’, Flick dichiara: «Ci sono certamente dei casi di differenza di trattamento, ma temo siano inevitabili, anche perché chi ha disponibilità economica ha disponibilità di avvocati in gamba».

Condivide il “ragionevole ottimismo” di Tamburino sulla riduzione del sovraffollamento nei prossimi mesi?

«Lo condivido nel senso che spero che abbia ragione. Mi sembra che le prospettive, molto concrete, che ha illustrato siano tali da farci ben sperare. Soprattutto mi piace che, finalmente, si affronti il problema in termini estremamente concreti e di piccoli passi, senza rivoluzioni epocali come il piano carceri, ma nella concretezza del trovare nuovi spazi e nel cercare di affrontare da subito, effettivamente, il sovraffollamento».

Riusciremo a evitare le sanzioni previste dalla Corte europea dei diritti dell’uomo?
«Me lo auguro. A me preme che l’Italia dimostri a Strasburgo di aver cominciato ad affrontare seriamente il problema: nei termini delineati dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio e in quelli raccolti, ad esempio, dalle proposte di una commissione fatta con questo fine dal Consiglio superiore della magistratura».

Saranno necessari amnistia e indulto?
«Non credo che si possa parlare di necessità dell’amnistia o dell’indulto. A parte il fatto che le indicazioni del Presidente della Repubblica sono state a mio avviso travisate nel dibattito politico».

Che intende?
«Il Presidente della Repubblica non ha parlato della necessità dell’amnistia e dell’indulto. Ha parlato di una situazione abnorme e inaccettabile alla quale bisogna far fronte con riforme strutturali, perché il sovraffollamento del carcere è un fatto strutturale. Alla fine, e solo alla fine di questo discorso sulla riduzione della custodia cautelare, sulla depenalizzazione, sulle pene alternative, sul potenziamento della detenzione domiciliare e delle misure di sostegno, ha aggiunto che la situazione di emergenza è legata alle scadenze che la Corte europea dei diritti dell’Uomo ci ha posto, sapendo perfettamente la difficoltà, di tipo parlamentare, di raggiungere una maggioranza sufficiente per varare quei provvedimenti. E mi pare che le strumentalizzazioni e le valutazioni politiche fatte sull’amnistia e sull’indulto abbiano reso ulteriormente difficile il ricorso nell’emergenza a una misura di quel genere».

Ilaria Cucchi, intervistata da IntelligoNews, ha definito la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi come due leggi criminali da abolire. È d’accordo?
«Non tanto su una definizione così efficace e così drammatica. Sul fatto che nelle nostre carceri una delle cause più tipiche del sovraffollamento è la situazione della tossicodipendenza e quella degli immigrati, ritengo che si debba intervenire. Sulle tossicodipendenze lo stesso ministro della Giustizia, a Strasburgo, ha segnalato la possibilità di intervenire depenalizzando in parte il fenomeno. Sul tema dell’immigrazione clandestina, che non è più punita col carcere ma che è la premessa per tutta un’altra serie di reati, sono convinto che il problema vada affrontato anch’esso in termini di depenalizzazione. Aggiungo però anche che, oltre alla tossicodipendenza e all’immigrazione clandestina, c’è un problema di una recidiva che è stata disciplinata in modo da aumentare notevolmente la popolazione carceraria. E anche su questo bisognerà porre rimedio».

Più recentemente, questa volta sull’Huffington Post, Ilaria Cucchi ha parlato di “giustizia a due velocità” e che funziona in modo diverso per cittadini ‘normali’ e ‘potenti’. E’ così?
«Non vorrei generalizzare sulla velocità della giustizia. Penso che qualche tempo fa è stato assolto per non aver commesso il fatto un imprenditore, noto, dopo un anno di custodia cautelare, prima in carcere e poi agli arresti domiciliari. Ci sono certamente dei casi di differenza di trattamento, ma temo siano inevitabili, anche perché chi ha disponibilità economica ha disponibilità di avvocati in gamba che lo aiutano. Però non generalizzerei in termini assoluti il discorso».

Vietti sostiene che la carcerazione preventiva è diventata un’espiazione anticipata della pena. Concorda?
«Sono d’accordo nella misura in cui questa valutazione è stata fatta, ad esempio, dal Procuratore della Repubblica di Milano o dal Presidente della Cassazione quando hanno esortato entrambi, ciascuno nelle sue competenze, a una maggior cautela nell’utilizzo della custodia preventiva. E ce lo dice anche l’Europa, la quale, nella sentenza Torreggiani, ci ricorda che, senza voler entrare nella nostra politica criminale, dovremmo ridurre i casi di custodia preventiva, ma anche quelli di pena detentiva stessa».

Qual è la soluzione per limitare la carcerazione preventiva?
«Affidare al giudice la valutazione in concreto di quando essa sia necessaria. Si deve entrare in carcere, restandoci il tempo necessario, solo quando il carcere sia l’unica soluzione per evitare l’inquinamento delle prove, la fuga e la reiterazione dei reati. Queste sono le condizioni di estrema ratio per una custodia cautelare che non deve, e non può, mai diventare anticipazione di pene o soddisfazione dell’opinione pubblica e dell’allarme sociale provato da essa».

Quindi oggi la sua applicazione non è limitata a questi tre casi?
«Non sono in condizione di esprimere valutazioni su casi specifici. Posso dire che un 40% di detenuti è in custodia preventiva ed è un numero eccessivo, anche se si guarda alla durata. Spesso è soltanto un fenomeno di porte girevoli, cioè quello di entrare e di uscire dopo poco tempo».

Come giudica le proposte che hanno fatto, ieri, i detenuti di Regina Coeli per una spending review del carcere?
«Ho letto quel documento. Mi sembra molto serio e nell’ottica delle cosiddette buone pratiche, che contano molto anche per la riduzione della pena del carcere oltre che per la giustizia in generale. Il lavoro, la cui carenza è uno dei grandissimi problemi del carcere, come segnalano i detenuti può essere affrontato anche affidando ai detenuti stessi e alle cooperative di detenuti certe lavorazioni che venivano prima date fuori. In parte i problemi possono essere, non dico risolti totalmente, ma affrontati attraverso un’analisi e un dialogo di buona volontà tra i protagonisti della giustizia, ovvero giudici, avvocati, cancellieri e parti sociali, e i protagonisti del carcere, compresi i detenuti. Per esempio mi sembra molto positivo il tentativo, varato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di una regionalizzazione dell’esecuzione della pena. Ovvero che ciascun detenuto, nei limiti del possibile, sconti la pena nel contesto da cui proviene, determinando più facili rapporti con la famiglia e spese meno forti per essa».