Fonte: tempi.it
La Camera ha approvato il disegno di legge che delega al governo la riforma del codice penale, testo che però – scrive il Corriere della Sera – «poi dovrà superare la difficile prova del Senato». Le misure che hanno scatenato le polemiche più intense sono quelle che riguardano le intercettazioni, in particolare l’articolo che ne regola la pubblicabilità, e che, si legge sempre sul Corriere, «potrebbe portare all’esaurimento del filone delle conversazioni non penalmente rilevanti rese pubbliche sui giornali». Prospettiva che non piace a Sel e ai grillini, i cui esponenti al solito accusano Pd e Forza Italia di «voler mettere il bavaglio alla stampa per proteggersi a vicenda».
Spiega il quotidiano di via Solferino: «Governo, Pd e Ncd hanno cancellato in extremis (emendamento della presidente Donatella Ferranti) la prevista “udienza filtro” che avrebbe dovuto selezionare nel contraddittorio delle parti, seppure a porte chiuse, le intercettazioni penalmente rilevanti da quelle riguardanti aspetti della vita privata degli indagati, o peggio ancora, di terzi estranei all’indagine». Il motivo del ripensamento è che «ci si è accorti che l’udienza così strutturata avrebbe attirato troppi giornalisti e poi sarebbe stata un boomerang quando il gip emette un’ordinanza di custodia cautelare, un atto a sorpresa e quindi non annunciabile». Via dunque la parola “udienza”, che nel testo trasmesso alla Camera «è stata sostituita dalla seguente dizione: “Selezione di materiale intercettivo nel rispetto del contradditorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine”. In caso di arresto – continua il Corriere – il filtro sulle intercettazioni da inserire nell’ordinanza sarà affidato al giudice che poi (come succede in alcuni casi) non potrà più procedere con il “copia e incolla” della richiesta del pm».
Ma le novità contenute nel ddl delega per la riforma del codice penale non si limitano al tema delle intercettazioni. Sono tante le materie su cui il parlamento affida all’esecutivo il compito di elaborare nuove proposte. Ci saranno infatti modifiche sui tempi in cui il pubblico ministero potrà chiudere le indagini, ma anche una nuova disciplina dell’ordinamento penitenziario. Secondo il giurista Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte costituzionale e ministro della Giustizia nel primo governo Prodi (all’epoca del quale per altro provò a sua volta senza successo a riformare le intercettazioni), «su alcuni punti il parlamento lascia al governo uno spazio di manovra molto ampio, e ciò crea il rischio di costituzionalità della norma».
Professor Flick, è stato molto criticato l’articolo che introduce nuove disposizioni sulle intercettazioni. Dicono che Renzi, imponendo il divieto di pubblicare, anche per riassunto, gli atti delle indagini preliminari, vuole mettere il bavaglio ai giornali. Cosa ne pensa?
Rispetto al tema delle intercettazioni occorre una premessa di fondo. La Costituzione prevede che il Parlamento possa delegare al Governo l’emanazione di decreti, soltanto «con determinazione di princìpi e criteri direttivi e per tempo limitato e per oggetti definiti». Occorre dunque che ci siano dei binari precisi, tracciati dalle camere, in cui l’esecutivo possa esercitarsi. Ecco, a me pare che il testo di legge delega abbia dei criteri, dei princìpi e un oggetto non sufficientemente determinati, e che quindi lasci uno spazio di manovra molto ampio. È una prassi già vista altre volte durante questo governo, ad esempio con il Jobs Act: si lascia la trattazione più tecnica della materia all’esecutivo. Ma quando princìpi, criteri e oggetto della legge non sono sufficientemente chiariti dal Parlamento, c’è un alto rischio di incostituzionalità. In particolare, a me non sembra che l’articolo 29, lettera a, della legge delega risponda ad alcuno di questi requisiti, perché non è specifico. Vi si prevedono disposizioni per garantire la riservatezza delle comunicazioni oggetto di intercettazione attraverso “prescrizioni”, ma resta ancora del tutto da chiarire cosa prevalga tra l’esigenza della ricerca delle prove per le indagini, quella di tutela della riservatezza di terze persone o di aspetti che non riguardano la sfera penale, e il diritto di cronaca. Sono questi i tre interessi contrapposti che, nel tema delle intercettazioni, possono spesso confliggere l’uno con l’altro. Metterli d’accordo è molto difficile, oltre che necessario. Non mi sembra che i criteri di delega siano sufficientemente chiari e determinati nel metterli insieme. Bisogna evitare di tappare le orecchie e gli occhi ai magistrati, o la bocca ai giornalisti, ma anche evitare di mettere in piazza cose private e riservate che non riguardano i processi. Invece si rischia di attribuire all’esecutivo un potere eccessivo, che va anche al di là delle intenzioni del Parlamento.
Verrà introdotto anche un nuovo reato, con relative pene (da 6 mesi a 4 anni di reclusione) per chi diffonda il contenuto di conversazioni captate fraudolentemente. Rientreranno nella fattispecie anche quei giornalisti di note trasmissioni (Report, Piazzapulita) che riprendono con una telecamera senza essere visti? Cosa ne pensa?
Sull’opportunità di introdurre una nuova fattispecie di reato, come quello di questo tipo, ho delle perplessità. Dal mio punto di vista è inutile e inopportuno, nel contesto di una doverosa messa a punto delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Una cosa è disciplinare le intercettazioni per ragioni investigative e contemperare in questo il diritto dell’inviolabilità della comunicazione e il diritto alla riservatezza delle persone. Altra cosa è introdurre una fattispecie nuova che introduce la punizione della registrazione “fraudolenta” non meglio specificata. Il tema introdotto nel testo è completamente diverso dalla disciplina sulle intercettazioni di cui si sentiva invece il bisogno. Per altro, l’articolo 167 del codice della privacy, punisce già ora la diffusione di dati personali diffusi senza il consenso dell’interessato, se la diffusione è fatta per recare danno. C’è già una tutela della riservatezza, in questo senso.
Altro passaggio molto criticato è la delega per le modifiche al codice di procedura penale sui termini delle indagini preliminari. Dopo 18 mesi (o due anni a seconda dei reati), il pm avrà a disposizione 3 mesi per decidere se chiedere un’archiviazione o un rinvio a giudizio, ma nella magistratura molti lamentano che questi tempi siano stretti per arrivare ai “pesci grandi”.
Mi sembra ragionevole porre un termine. Mi sembra ragionevole anche legarlo ad una durata diversa, proporzionato alla gravità del reato. Semmai si può discutere se allungare eventualmente questo termine, alla conclusione delle indagini, da tre mesi in su, ma non si può attendere a tempo indefinito la decisione del pm di esercitare l’azione penale o archiviare. Piuttosto, cambiando argomento, vorrei dire che ci sono altre due cose che mi hanno colpito positivamente.
Quali?
La prima è ricondurre al codice penale le fattispecie di reati contenuti nelle leggi speciali. In Italia c’è la tendenza a disseminare norme penali ovunque, al di fuori del codice. Penso ad esempio alla materia penale tributaria tutt’ora, o a quella dei reati ambientali fino a poco tempo fa: sono stati elaborati testi speciali che prevedono pene e delitti, che sono più conoscibili e significativi se sono collati nel codice penale. La tendenza seguita nella legge delega di inserire direttamente nel codice i vari e più significativi divieti è molto giusta. Un’altra cosa che giudico positiva è contenuta nell’articolo 30 della legge delega.
Si riferisce alla riforma dell’ordinamento penitenziario?
Sì. Ad oggi abbiamo un sistema di pena che crea moltissimi problemi, dal sovraffollamento all’ergastolo ostativo, che non può per definizione tendere alla rieducazione (si tratta della misura che impedisce ai condannati per reati come mafia o terrorismo di accedere ai benefici penitenziari come il lavoro all’esterno, ndr). Ne è prova che la Consulta ha ritenuto costituzionale l’ergastolo solo a patto che nel concreto il condannato possa di fatto ad un certo punto essere riammesso nella società, cosa che invece non avviene con il regime ostativo. La legge delega traccia una via che, ad esempio, dà molto spazio e importanza alle misure alternative, valorizzando il lavoro e il volontariato per i detenuti durante la pena, riconoscendo finalmente uno spazio per l’affettività del condannato, vista come diritto, rivedendo l’ordinamento della medicina penitenziaria. Sono tutti aspetti che mirano a rendere il carcere più umano e rispettoso della dignità della persona e che attuano di più il significato rieducativo della pena. Anche questo è un passaggio forse difficile da realizzare, ma necessario. Soprattutto avendo tutti davanti agli occhi il Giubileo e la bella richiesta di un’amnistia avanzata dal Pontefice, desiderio che tuttavia trovo difficilmente accoglibile nel nostro sistema. Proprio per questi motivi considero importanti i princìpi contenuti nella legge delega, sebbene anche in questo caso c’è il rischio che abbiano un carattere troppo generico e che possano essere riempiti nell’esercizio della delega in un modo un po’ “personalizzato” dall’esecutivo. In particolare, ritengo molto importanti la valorizzazione del lavoro e del volontariato per il detenuto, perché chi è fuori sappia cosa c’è dentro il pianeta carcere e viceversa, anche per superare i pregiudizi che tanti hanno sui detenuti, che spesso portano la nostra società a considerare il carcere come una discarica dove “gettare” tutti i “diversi” e i loro problemi, per dimenticarli in nome dell’illusione della sicurezza.