Da Il Fatto Quotidiano del 15 ottobre 2016
Perché votare NO? Un breve riassunto dei motivi. Quanto al merito della riforma che viene proposta:
1) perché non si può passare dal bicameralismo “perfetto” (per così dire) a un bicameralismo “malfatto” (quanto all’elezione e composizione del Senato, alle sue competenze, ai suoi rapporti con la Camera dei deputati nei procedimenti legislativi);
2) perché nei rapporti tra Stato e Regioni l’eccesso di decentramento – attuato con la riforma costituzionale del 2001 – non può essere corretto con l’eccesso opposto di un accentramento pressoché totale, dimenticando oltretutto le regioni a statuto speciale per le quali il problema di quei rapporti si pone in modo ben più rilevante che per le regioni a statuto ordinario;
3) perché è vero che il meglio (cui aspirare) è nemico del bene: tuttavia la proposta di riforma costituzionale non è un bene, ma un pasticcio (in particolare per le ragioni dianzi esposte a proposito del Senato e del rapporto fra Stato e regioni).
Quanto al metodo della riforma su cui si voterà il prossimo 4 dicembre:
1) perché in un unico quesito confluiscono problemi, interrogativi e soluzioni fra loro assai diversi e di difficile comprensione, da accettare o rifiutare in blocco;
2) perché la riforma è stata elaborata attraverso la ricerca di maggioranze risicate a tutti i costi; la presenza, quando non prevalenza, di finalità di politica contingente; lo scontro costante tra maggioranza e opposizione; il legame incestuoso con la legge elettorale vigente e sub iudice e quella da attuare; con motivazioni come il risparmio di spesa, estranee al contesto e alla logica costituzionale; con uno spirito e in un modo antitetico a quelli richiesti dall’articolo 138 della Costituzione per la sua revisione;
3) perché l’assenso alla riforma è stato richiesto e suffragato con argomentazioni successive fra loro contraddittorie e via via riconosciute erronee dagli stessi proponenti: prima la personalizzazione sul Presidente del Consiglio; poi il richiamo alla volontà del Presidente della Repubblica e alla sua rielezione; poi ancora le pressioni indebite dei mercati e dei media di informazione finanziaria; infine l’ammissione degli errori contenuti nella riforma, degradandoli tuttavia disinvoltamente a semplici sviste bagatellari correggibili dopo l’entrata in vigore del nuovo testo di Costituzione;
4) perché in realtà invece gli errori di contenuto e di forma e le lacune della proposta sono macroscopici, e sarà perciò molto difficile se non impossibile emendarli ex post, come dimostra la vicenda in parte analoga dell’approvazione della legge elettorale Italicum (la migliore, intoccabile, a colpi di fiducia) meno di un anno fa ed ora quella della necessità condivisa e delle difficoltà del suo cambiamento.