di Osvaldo Baldacci per il “GIORNALE DI SICILIA”
Rispetto e comprensione, no alla strumentalizzazione. Interesse del minore e dignità nella morte, ma senza dilatare a oltranza questi concetti, ben oltre paletti che a questo punto è bene che il legislatore definisca. Sono queste le linee guida sui temi della fine e dell’inizio della vita, accomunati dall’attualità. È il pensiero del professor Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale.
Presidente, da Trento alla Svizzera la cronaca fa tornare alla ribalta delicati temi etici che chiamano in ballo legislatori e magistrati. Che ne pensa?
Intanto non mi piace commentare nel merito specifico situazioni appena verificatesi con tutto il loro pathos emotivo e il dibattito politico e mediatico. Dagli ultimi accadimenti si possono però già trarre delle osservazioni di base, che in qualche modo riguardano entrambi i momenti. In comune hanno la richiesta diffusa di un intervento di legge, nel timore che a decidere siano i medici o i magistrati, che peraltro possono regolarsi in maniera difforme a seconda dei casi. Credo che questa richiesta sia fondata, per quanto in genere preferirei che il legislatore non fosse troppo presente in materie bioetiche o bioscientifiche, ma dare direttive e fissare i paletti in cui muoversi questo lo deve fare.
Si faranno leggi di questo tipo?
Bisogna dire che a mio avviso entrambi i casi rischiano di vedere complicare il discorso attraverso posizioni ideologiche generali contrapposte. Nel caso della genitorialità il problema ideologico è il mancato riconoscimento del matrimonio omosessuale. Non vorrei che le vicende di adozioni di minori – che sono particolarmente delicate – divenissero strumenti di una lotta su questo tema. Deve prevalere l’interesse del minore e non essere usato per modificare le cose: l’articolo 29 della Costituzione prevede che la famiglia sia composta da uomo e donna, si può discutere, si può criticare, si può cercare di cambiare la Costituzione, ma non si può aggirare attraverso tecniche e situazioni concrete che hanno come sottofondo delle battaglie ideologiche. D’altro canto bisogna sempre agire nell’interesse di “quel” minore, non di un minore astratto e generalizzato, è quindi inevitabile che ci sia uno spazio di decisione del giudice. Anche nel caso del fine vita si rischia di perdere di vista i singoli casi e l’interesse generale in nome di battaglie ideologiche.
Quale riflessione ha ricavato dalla vicenda di Trento con l’adozione da parte di due padri di figli partoriti all’estero con la maternità surrogata?
Il nodo lo vedo nel fatto che recentemente è stata allargata la possibilità di adozione riconoscendo la possibilità di accedervi da parte del partner del genitore. In questo contesto si parla di interesse prevalente del minore, nel senso di “diritto ad avere i genitori”. Le norme sono state interpretate in modo diverso dai tribunali di Roma e di Milano, ed è auspicabile un pronunciamento della Cassazione per fare chiarezza, di fronte ai contrasti nell’interpretazione . Ma il caso di Trento mi sembra costituire un passo in più, perché l’interesse del minore viene invocato per superare un divieto legislativo, come quello per la maternità surrogata che in Italia è un reato. Sembra opportuno quindi che la legge in qualche modo dia delle linee di fondo per evitare la dilatazione eccessiva del principio dell’interesse del minore.
C’è quindi differenza tra il caso di due madri e quello di due padri?
Sì, nel primo caso partendo dalla madre biologica e permettendo l’adozione da parte della partner si usa una interpretazione della legge, che secondo alcuni è forzata, ma deciderà la Cassazione; nella seconda fattispecie – senza entrare nella specifica ordinanza concreta – si bypassa la norma sul divieto della maternità surrogata, che è preciso e richiederebbe se mai una verifica di costituzionalità; non si tratta soltanto di estendere la genitorialità naturale integrandola con quella affettiva.
E per quanto riguarda il fatto della scelta di morire?
Mi sembra assordante il silenzio della legge sulle disposizioni di fine vita, che è stata calendarizzata. Con tutte le cautele, con tutte le attenzioni, con tutta la consapevolezza che le disposizioni di fine vita possono cambiare nel tempo e la volontà del disponente va poi interpretata nel momento ultimo, c’è però il principio fondamentale del consenso al trattamento medico. I trattamenti di fine vita sono considerati trattamenti medici. Io posso rinunciare a un trattamento medico anche a costo della vita; in Costituzione non c’è un obbligo di vivere. Ci possono essere molti casi di rinuncia alla vita, anche di una madre per far nascere il figlio, o per una fede religiosa o altro. Diverso però è il caso della richiesta di un intervento dello Stato o di un terzo in favore del suicidio. Per la Costituzione la vita è inviolabile, e se è nella disponibilità dell’individuo, nessun altro può però partecipare alla sua soppressione, neanche predisponendo strutture allo scopo. Né lo Stato né terzi possono “aiutarmi a morire”, fermi restando gli obblighi di assistenza e di cure palliative. È un principio troppo importante per subire deroghe.