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“Troppe norme contro la corruzione, siamo al flop”

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di Claudia Fusani per Tnews

Nella lotta alla corruzione “stiamo sbagliando”. Troppe norme, troppi controlli “con il rischio di creare inefficienza ed eccesso di burocratizzazione”, di “non combattere quindi la corruzione”.  “Il risultato è inefficienza, eccesso di burocratizzazione, scarsa attenzione al risultato e ostacolo all’attività d’impresa. La legislazione ha prodotto un appesantimento burocratico moltiplicando le procedure. È un’illusione quella per cui facendo riempire moduli si impedisce alla gente di corrompere o farsi corrompere”. È una denuncia durissima, quasi inquietante, quella che arriva dal professor Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia nel primo governo Prodi, presidente emerito della Corte Costituzionale, un uomo di legge, dunque, studioso e custode del diritto.

Professore, come nasce questa denuncia?
“Sono un osservatore dei fenomeni legati alla legge, al diritto e alla giustizia. Negli ultimi giorni questo, che è un mio pensiero da tempo, è stato denunciato dal procuratore generale della Corte dei Conti Claudio Galtieri nella relazione sul Rendiconto annuale, da Innocenzo Cipolletta, neoeletto presidente di Assonime, il club che riunisce le società per azioni e ieri da Boccia presidente di Confindustria. Insomma, più e diversi interventi per dire che ci sono troppe norme per combattere la corruzione ma il risultato non è soddisfacente. Dunque, significa che il metodo è sbagliato”.

Restiamo a Galtieri, più neutro. Cosa ha detto?
“Che il sistema dei controlli è caratterizzato da una pluralità di controlli spesso da parte della stessa autorità non collegati tra loro. Il risultato  è la creazione di tanti sottosistemi di controllo non dialoganti. Grande investimento di nome e controlli ma il risultato è decisamente insoddisfacente”.

È la prima volta che la Corte fa una denuncia così circostanziata?
“La Corte già altre volte ha sottolineato l’inefficienza dei controlli. Mai però, mi sembra, in modo così preciso e forte. Come premessa il presidente della Corte Arturo Martucci di Scarfizzi  ha ovviamente denunciato il fenomeno della corruzione che è diffuso e preoccupante”.

Siamo al paradosso: tante nome contro la corruzione e pochi risultati?
“Lei lo chiama paradosso, in realtà è la denuncia di uno sforzo inutile perché non produce i risultati attesi. Si parla di inefficienza e insufficienza dei controlli come sono impostati in termini generali. È la strategia generale della lotta contro la corruzione che è sbagliata. Infatti il procuratore conclude il suo discorso ricordando di tornare alle origini, cioè alla scoperta di cultura della legalità di cui c’è molto bisogno”.

Paradosso perché il legislatore fa peggio nella continua ricerca di strumenti nuovi?
“Il legislatore disperde le proprie energie in iniziative che possono apparire risolutive, che sono certamente gratificanti in termini di immagine ma che in realtà non risolvono il problema”.

Cosa bisogna fare?
“Le rispondo citando analoghe osservazioni fatte da Innocenzo Cipolletta, appena eletto alla guida di Assonime: il sistema dei controlli va rivisto per evitare che si sviluppi come sistema burocratico di controlli  ex ante che irrigidiscono le decisioni. Sono i ‘sottosistemi  che vanno per conto loro’ di cui ha parlato Galtieri. Il risultato è inefficienza, eccesso di burocratizzazione,scarsa attenzione al risultato e ostacolo all’attività d’impresa”.

Professore, può fare alcuni esempi?
“Il problema si pone dall’alto e dal basso. Dall’alto le procure e la giustizia penale non riescono a mordere il fenomeno come vorrebbero. Dal basso, gli stessi amministratori locali, mi vengono in mente i sindaci delle zone terremotate, rischiano la paralisi per un eccesso di norme nate proprio per combattere la corruzione.  La mia sensazione è che dopo lungo periodo di disinteresse per prevenire la corruzione, ci si sia svegliati agendo su due fronti”.

Quali?
“Da una lato c’è  stato l’inasprimento in sede penale.  Non so a quanto serva visto che la giustizia penale funziona poco. Fa la voce grossa, ad esempio allunga i termini della prescrizione ed estende in maniera acritica i metodi di contrasto della criminalità mafiosa anche alla corruzione”.

Allude al nuovo codice antimafia oggi al voto finale al Senato?
“SÌ, è sbagliato paragonare tout court il mafioso al corruttore. Nella criminalità organizzata c’è un serbatoio di violenza e intimidazione che non c’è nella corruzione. Le due forme di criminalità spesso vanno insieme e si danno una mano reciprocamente ma ciò non vuol dire che siano la stessa cosa. Inasprire non serve”.

Il secondo fronte di intervento che giudica a questo punto sbagliato?
“La legislazione ha prodotto un appesantimento burocratico moltiplicando le procedure. È un’illusione quella per cui facendo riempire moduli si impedisce alla gente di corrompere o farsi corrompere. Il sistema di responsabilità delle imprese introdotto quindici anni fa per cui le imprese rispondono dei reati commessi dai loro dipendenti  o dirigenti nell’interesse delle stesse, non ha funzionato nella sua applicazione pratica anche per queste ragioni”.

I corruttori brinderanno alla sue parole. Non le vengono i brividi?
“Sono state, a mio avviso, scelte sbagliate in modo inconsapevole. Nell’ansia di fare abbiamo purtroppo sbagliato. Ripeto: gli obblighi se sono formali diventano inutili”.

Addirittura possono produrre altra corruzione?
“Quanto più la scena è complicata e più si può inquinare con la corruzione. Sta di fatto che continua ad essere ingestibile il campo tra la pubblica amministrazione e l’impresa”.

Ha avuto modo di parlarne con il presidente dell’Anac Raffaele Cantone?
“Non ho avuto l’occasione.  Ma le voglio fare un altro esempio. L’Europa ci chiedeva di eliminare la confusione tra corruzione e concussione. C’era un detto ai tempi dell’università: nella corruzione io, privato, gustavo dandolo e l’altro godeva prendendolo. Nella concussione il pubblico ufficiale  godeva prendendolo  ma io, privato, soffrivo dandolo. Cosa abbiamo fatto qualche anno fa? Per semplificare le cose abbiamo introdotto anche il reato di induzione indebita o corruzione indotta. È la terza  ipotesi per cui il privato un po’ gode e un po’ soffre nell’atto di corrompere”.

Come si combatte allora la corruzione?
“Purtroppo né riempiendo moduli nè complicando le leggi; progettando invece ed applicando sistemi efficaci e semplici di controllo che guardino più ai risultati che alle procedure”.

Lei è stato ministro quando Giuliano Pisapia era in Parlamento e guidava la Commissione giustizia. Ne avete parlato?
“Ci siamo riservati di scambiarci idee in generale su tematiche di diritto. Credo possa essere interessato se riuscirà a superare il timore che prende  tutti i politici di fronte al rischio di parlar male di Garibaldi, cioè l’idea stessa di combattere la corruzione: la si combatte anche criticando soluzioni sbagliate”.