di Claudia Fusani per Tnews
“Nel nuovo Codice Antimafia ci sono, a mio avviso problemi di contenuto e di metodo”. Il professor Giovanni Maria Flick è tra i più agguerriti critici della legge approvata ieri dal Parlamento dopo quattro anni tormentati di iter parlamentare. Presidente emerito della Corte Costituzionale, Flick è stato anche ministro della Giustizia. Un parere certamente tecnico e non permeabile a schieramenti di parte, quindi politici.
Critica la legge nel suo complesso?
“Assolutamente no, ben vengano tutte le norme, contenute nel testo approvato, che sono finalizzate ad una maggiore trasparenza ed efficienza dei beni sequestrati prima e confiscati poi alle mafie ed al loro uso pubblico. Ero ancora ministro della Giustizia, cioè vent’anni fa, e il problema era già sul tavolo”.
Dunque cosa non la convince?
“L’articolo 1 perché equipara la criminalità organizzata alla corruzione. Questo è un profondo errore perché mentre la criminalità organizzata si basa sulla violenza e sulla intimidazione, la corruzione si sostanzia nella negoziazione e nell’accordo tra le parti. Spesso la criminalità organizzata si avvale della corruzione, ma le due realtà non sono la stessa cosa e perciò non possono essere affrontate con le stesse armi”.
E però nelle inchieste sulla mafia, la corruzione e i reati contro la pubblica amministrazione sono spesso reati satelliti, funzionali agli affari dei clan. Come fare per aggredirli?
“I metodi investigativi possono essere gli stessi, le intercettazioni, le indagini patrimoniali, l’accesso alle banche dati. Ma il sequestro preventivo e la confisca a carico di persone tra l’altro indiziate e neppure indagate, non mi sembra giustificato. La legge dice che basta il sospetto e la mancanza di prova sulla provenienza legittima di un bene, per arrivare a sequestrarlo come profitto del reato. Questo mi preoccupa molto”.
La legge assume che quei beni frutto di corruzione e altri reati simili siano non il profitto ma il mezzo del reato
“Non è così, ma anche se lo fosse sarebbe sbagliato. Ripeto: il sospetto, per lo più generico perché si parla di persona “indiziata” e neppure indagata, non può giustificare una misura di sequestro/confisca del patrimonio. Inoltre esistono già almeno quattro-cinque meccanismi giuridici che consentono di privare del profitto il soggetto che lo ha realizzato commettendo un reato. Non c’era bisogno di inserirne un altro ancora che si fonda sul sospetto e accresce la confusione fra i vari tipi di confisca oggi già previsti”.
Ad esempio?
“Il provvedimento che ha consentito al Tribunale di Genova il sequestro preventivo dei conti correnti della Lega”.
In quel caso c’era già una sentenza di primo grado e il provvedimento è finalizzato alla tutela del denaro pubblico che sarebbe stato indebitamente destinato alla Lega
“Il mio è solo un esempio per sottolineare che anche in questo caso, pur di fronte ad una sentenza di primo grado, ci siamo interrogati sulla legittimità di una misura forte come il sequestro che aggredisce il patrimonio di un terzo non ritenendolo estraneo al reato di cui non è l’autore”.
Il legislatore ha previsto che sia contestato il reato associativo semplice, il 416, per far scattare il sequestro. Non basta?
“La sostanza non cambia; non è sufficiente il 416 (cioè l’associazione a delinquere tra più persone) per rendere legittima una misura che si fonda soltanto sul sospetto e sull’inversione dell’onore della prova”.
Sono state le associazioni antimafia impegnate ogni giorno sul territorio a chiedere una norma più efficace per combattere anche la corruzione
“Ben vengano, ripeto, norme di prevenzione. Ma in questo modo si agisce solo sul fronte di una repressione mascherata da prevenzione e con forti dubbi sul rispetto del princìpio di legalità e di quello della presunzione di non colpevolezza. A me, comunque, risulta che le Associazioni abbiano chiesto più trasparenza ed efficacia nella gestione dei patrimoni sequestrati/confiscati. E su questo fronte la legge dovrebbe consentire dei significativi passi in avanti”.
C’ è il rischio che sia anticostituzionale?
“Essendo stato giudice della Corte Costituzionale, a me non piace anticipare da fuori i suoi possibili giudizi. Il mio è un giudizio problematico dal punto di vista del rispetto del principio di legalità e della presunzione di non colpevolezza. Sembra quasi che la legge, per l’incapacità dello Stato di effettuare una repressione efficace punti tutto su una prevenzione che in realtà si risolve in una repressione fondata sul sospetto”.
La Corte europea di Strasburgo ha riconosciuto la legittimità della confisca come strumento per contrastare la criminalità organizzata
“Questa legge, a mio avviso, allarga molto i confini fissati dalla Corte europea che si focalizzavano soprattutto sulla pericolosità della criminalità organizzata come tale”.
Denuncia anche problemi di metodo. Quali?
“Leggo che il Parlamento ha approvato un ordine del giorno per monitorare l’applicazione della norma. Rinviando, s’intuisce, ad una eventuale modifica successiva. Tutto questo mi lascia francamente molto perplesso”.
Potrebbe essere un modo per tenere unita la maggioranza e convincere i centristi tentati dal No. Un odg che sa di compromesso politico. Non sarebbe la prima volta.
“Io in materia penale trovo questo modo di agire molto preoccupante perché denuncia un accordo che potrebbe esservi dietro e conferma la violazione della regola di usare lo strumento penale solo come extrema ratio. Questa sembra una legge, almeno il suo articolo 1, da dare in pasto all’opinione pubblica come regalo al Paese – come è stato detto autorevolmente dalla presidente della Commissione Antimafia Rosi Bindi – per placare le paure e l’allarme sociale. Non a caso è stata estesa anche al reato di stalking e terrorismo, entrambi di grande allarme sociale. In questo modo lo Stato conferma la sua impotenza nella fase della repressione secondo i princìpi costituzionali, e imposta tutto in una chiave preventiva che non rispetta quei princìpi ma è comunque una repressione. Si ricorda quando si disse che non si poteva abolire, cosa per altro giustissima, il reato di immigrazione clandestina perché avrebbe creato allarme sociale? Ecco, a parti rovesciate ma temo che siamo allo stesso punto”.
C’è stato un intenso dibattito tra il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, e il procuratore antimafia Roberti. Conferma i suoi dubbi?
“Sono contento che il presidente dell’Anac abbia detto che mafia e corruzione non possono essere trattati allo stesso modo. Vede, il diritto penale ha certe regole, a meno che non si vogliano cambiare anche nella Costituzione. Quella differenza di opinione mi sembra un modo per esprimere l’auspicio o al contrario il rifiuto della fusione tra i due settori della criminalità organizzata e della corruzione”.
Professore, ha accettato l’incarico che le hanno offerto i 5 Stelle in Campidoglio?
“Ho rifiutato un incarico operativo o amministrativo nell’ambito dei beni culturali a Roma in questo ambito, perché non mi ritengo adatto. Ho accettato invece di collaborare eventualmente ad una riflessione su quei beni perché mi sono occupato dell’articolo 9 della Costituzione che è uno dei princìpi fondamentali più importanti di essa”.