Di Carlo Bertini per LA STAMPA
«A me non convince questo modo di procedere». Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, nonché uno dei candidati per il ruolo di premier di garanzia durante le trattative post-voto, non apprezza il profilo «autoritario» con cui il governo sta affrontando la questione delle responsabilità per il crollo del ponte Morandi.
Perché non la convince?
«Tutta una serie di sintomi, indicazioni e provocazioni mi lasciano perplesso e non mi paiono in linea con l’impostazione costituzionale della nostra Repubblica. In passato abbiamo avuto dei tentativi di svuotamento della Costituzione dall’interno, come attraverso l’ultimo referendum, cui fui contrario per il suo contenuto e il modo in cui era stato proposto. Ma ora siamo arrivati ad una via più semplificata per disapplicare la Carta, a cominciare dall’articolo uno: quando si evoca la sovranità popolare, si dimentica che deve essere mediata dalle forme e dai limiti previsti dalla Costituzione».
Cosa non va nelle indicazioni impresse dal governo dopo la tragedia di Genova?
«Il crollo impone a tutti una riflessione profonda su necessità di prevenzione e valutazione del rischio e su tutte le tematiche legate alla realizzazione delle grandi opere. Detto questo, mi lascia perplesso l’assunzione di un ruolo molto autoritario e di dogmatica condanna preventiva, fra l’altro sostituendosi alla autorità giudiziaria. È l’ennesima riprova di quel che colgo in tanti altri ambiti di comportamento del governo».
Quali?
«Il tema carcere ad esempio: aver buttato via la riforma del governo precedente, di fronte alla invivibilità delle nostre carceri, che registrano una crescita preoccupante dei suicidi. Mi riconosco pienamente nella valutazione del presidente Fico sul rischio di confondere la certezza della pena con la sua durezza. Ma poi c’è la posizione sull’ abolizione della legge Mancino, il tema della genitorialità, o quello dell’aborto che viene ora posto su tappeto. Pensiamo anche alla proposta di abolire il reato di tortura appena introdotto, con la motivazione di non ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine. Tutte situazioni in cui si nega il dialogo e si fanno asserzioni di certezze dogmatiche».
Stessa cosa avvenuta per Genova?
«Si vive solo di presente e il passato viene usato esclusivamente per attacchi di campagna elettorale e per sottolineare la propria diversità. Che così sconfina in autoritarismo e dogmatismo. Pensi alla proposta di abolire la legge Mancino, mentre continuano ad esserci episodi preoccupanti di xenofobia, e questo nel momento in cui ricordiamo l’ottantesimo anniversario delle infami leggi razziali. L’orientamento dominante è di essere tolleranti solo verso l’intolleranza. Si dice ad esempio che le uova contro una persona non sono razzismo ma goliardia. Ricordo che a Dachau c’è scritto che chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo».
In altre parole, non le sembra giustificato l’annuncio di revoca della concessione ad Autostrade?
«Non conosco gli estremi di questa concessione e non so se vi sia stata una violazione che giustifichi la revoca in sede di autotutela. Mi preoccupa però la tendenza all’inversione del principio di non colpevolezza. Nel nostro Paese il sistema prevede garanzie e contraddittorio e anche, certo, la possibilità di adottare in via cautelare provvedimenti di urgenza. Ma tutto questo va valutato senza arrivare all’inversione dell’onere della prova. Può essere che la revoca sia fondata su elementi solidi e acquisiti. Ma avanzare questa ipotesi senza un minimo di istruttoria o minacciarla senza darle seguito mi preoccupa. E poi c’è un altro tipo di valutazione: così si introduce una forma implicita di diffidenza verso i giudici e la giustizia; pensi all’ipotesi di modifica della legittima difesa e al suo carattere di automatismo. La Costituzione è un manuale di sopravvivenza, bisogna applicarlo e bisogna che tutti abbassino i toni: maggioranza e anche opposizione, per uscire da una campagna elettorale permanente, altrimenti la “pacchia finisce”, ma per tutti».