di Federica Olivo per Huffpost
Professore, la riforma che sta per entrare in vigore non la convince affatto e non l’ha mai nascosto. Cosa la preoccupa di più?
Il metodo. Questo è un intervento legislativo sbagliato e mi pare che alla base ci sia non l’interesse reale per la giustizia, ma un’esigenza di identità e di facciata. Uno scambio tra posizioni politiche, per la serie ‘io ti do una cosa, tu me ne dai un’altra’.
Si riferisce a quello che potrebbe sembrare un ‘baratto’ tra riforma delle intercettazioni e nuove regole sulla prescrizione, tra Pd e 5 stelle?
Esatto, peraltro uno scambio non tra cose concrete – come in un certo senso è stato quello tra Lega e M5s sulla legittima difesa – ma tra una promessa e un dato già acquisito (e non è uno scambio alla pari). Comunque, mi pare che la preoccupazione di fondo sia non far cadere il governo. La politica ha le sue esigenze, certo. Non sono sicuro, però, che queste possano essere spinte al punto di sconvolgere l’assetto ordinamentale della giustizia. Che sia in atto un meccanismo del genere è confermato dalle esternazioni di autorevoli esponenti della maggioranza.
A chi si riferisce?
C’è la tendenza a dire: ‘la riforma non può funzionare, ma gli avvocati troveranno il modo di mandarla alla Consulta e quest’ultima certamente la dichiarerà incostituzionale’, se non vi sarà una velocizzazione del processo. Ecco, l’idea di concorrere a varare una norma che sarà certamente bocciata dalla Corte Costituzionale mi pare al di là e al di fuori dell’equilibrio dei poteri.
O, forse, anche un modo di scappare da una responsabilità?
È un escamotage per sottrarsi a quello che è un compito del Parlamento: legiferare. Peraltro, mi sento di aggiungere che questa riforma non risolverà granché, anzi.
Che rischi comporta sospendere la prescrizione dopo il primo grado di giudizio senza mettere mano al processo penale?
Quello di imprimere il marchio della perennità ad alcuni procedimenti, mentre invece il cittadino avrebbe diritto a non rimanere in giudizio tutta la vita. Dobbiamo, peraltro, ricordare che almeno nel 50% dei casi, la prescrizione si verifica prima del dibattimento. L’estinzione per prescrizione, bisogna aggiungere, spesso arriva non per l’attività degli avvocati, cui pure si dà spesso la colpa, ma perché ci sono troppi tempi morti nel processo. Perché c’è un ‘armadio della memoria’ che viene a crearsi negli uffici giudiziari.
Un armadio che, è opinione diffusa, va svuotato. Come?
Inserendo meno fascicoli al suo interno, forse. Attraverso una depenalizzazione. Il diritto penale deve essere inteso come extrema ratio. Bisognerebbe quindi ridurre il numero dei reati e, soprattutto, non crearne di nuovi. Vede, è stato fatto prima in questo modo con la corruzione, ora si prospetta con l’evasione fiscale. C’è un allarme sociale? Si fa nascere un nuovo reato, quando invece bisognerebbe innanzitutto prevenire. Ciò non aiuta ad accelerare il lavoro in primis delle procure. In generale, comunque, i processi sono troppi perché possano arrivare tutti a soluzione in tempi celeri. Per risolvere questo problema non bastano circolari e direttive, credo che l’unico in condizioni di poter dettare cosa fare o non fare, debba essere il legislatore, non il Csm né tantomeno i capi degli uffici. Perché la scelta sulla priorità da dare ai processi ha, inevitabilmente, implicazioni di politica sociale e criminale. Ma il legislatore o vuole fare la riforma a tutti i costi o vuole lasciare che ci pensi la supplenza della Corte costituzionale. Certamente bisogna anche incidere su una migliore organizzazione degli uffici, ma c’è, poi, un altro passo da fare.
Quale?
Penso ai riti alternativi, che dovrebbero rendere meno macchinosi alcuni processi, ma che sono stati depotenziati attraverso interventi non organici. Il cosiddetto giudizio abbreviato, per esempio, è diventato una specie di paradossale giudizio allungato. Bisognerebbe verificare se si può evitare di costruire per tutti i reati lo stesso tipo di processo. È evidente che ci sono casi che possono essere risolti attraverso procedimenti più snelli rispetto ad altri. In sostanza, è da ripensare completamente il funzionamento del processo, ma non a colpi di sciabola, come è stato fatto.
Nella riforma di Bonafede non viene fatta alcuna distinzione tra sentenza di assoluzione e di condanna. Lo stop alla prescrizione scatta a prescindere. Come giudica questo punto?
La Costituzione afferma che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, ciò presuppone che tutti vengano trattati allo stesso modo. Io non credo che la valutazione diversa del giudice di primo grado possa costituire una ragione sufficiente per un trattamento diverso, anche se capisco che a primo impatto l’assoluzione renda maggiormente inaccettabile il trascorrere di troppo tempo fino all’arrivo della sentenza definitiva. Tuttavia, dobbiamo ricordare sempre quello che dice la Carta.
Però la Costituzione prescrive anche la ragionevole durata del processo. Se alla nuova prescrizione non sarà affiancata una riforma del processo penale, viene da pensare che difficilmente questo principio sarà garantito. Lei cosa pensa a questo proposito?
Su questo punto, a volte anche volutamente, c’è un grande equivoco. Sovente viene scaricata sugli avvocati la responsabilità della durata eccessiva del processo. Questa, invece, è dello Stato, che da un lato non mette a disposizione risorse e strumenti, dall’altro lato non disciplina le garanzie difensive in modo che queste non possano essere strumentalizzate. In ogni caso, è bene ribadire che non si possono sacrificare le garanzie difensive alla ragionevole durata del processo nè pensare di concepire la prescrizione come un fiore che spunta in una landa di cemento. Non si può dire, come però è stato detto, ’la blocco, così abbrevio il processo’. Perché così non si sta abbreviando un bel niente. Anzi, il rischio è che accadrà l’esatto contrario.