Di Mariachiara Genco per zai.net
Il termine “eguaglianza” è frequentemente dibattuto nella nostra quotidianità. Eppure all’atto pratico non sembra essere compreso. Le riflessioni sul tema vengono scambiate per buonismo banale, e parlandone è facile sfociare nel pietismo. Cosa significa realmente? Lo chiedo ad un uomo che ha dedicato la propria vita allo studio dei diritti umani.
Cosa significa uguaglianza, e cosa significa essere eguali davanti alla legge?
L’affermazione è bella e impegnativa perché non si articola soltanto in una dimensione formale. L’esperienza ci insegna che la legge è uguale per tutti, ma non tutti troppo spesso sono uguali per la legge. Infatti, la Costituzione affianca all’eguaglianza formale la pari dignità sociale di tutti. L’articolo 10 aggiunge che allo straniero va riconosciuto il diritto di asilo quando non possa esercitare nel paese di origine le libertà fondamentali che vengono riconosciute in Italia. Questo vuol dire equiparare completamente i cittadini e gli stranieri per quanto riguarda i diritti fondamentali. Non può esistere l’affermazione “prima gli italiani”, e la Corte Costituzionale l’ha ribadito più volte. Quindi l’uguaglianza ha anche un significato sostanziale oltre che formale, poiché a tutti spetta il medesimo rispetto reciproco, indipendentemente dalle condizioni che possono generare differenze.
Quali sono, secondo lei, le forme più emblematiche di disuguaglianza nella società contemporanea italiana?
Non parlerei soltanto di disuguaglianza, bensì di diversità. Si tratta di un valore fondamentale. Tant’è che la Costituzione si preoccupa di garantire la libertà di pensiero, che si sviluppa sia nel diritto ad essere informati, sia nella possibilità di informare manifestando le idee. Ciò assume una particolare importanza in tempi in cui attraverso i social e internet l’informazione è diventata qualcosa di coinvolgente e stravolgente. Penso al tema delle fake news, che servono ad influenzare le persone. La Costituzione tiene presente queste difficoltà e pone un obiettivo molto importante, quello di rimuovere gli ostacoli, come la lingua, il sesso, la religione, la razza. Oggi vi sono tre emblemi tipici di diversità che si risolvono in discriminazione: l’ebreo, la donna e il migrante. Queste condizioni possono ricollegarsi in termini generali: alla persona considerata diversa poiché ha una propria identità e religione nel caso dell’ebreo, al possesso per la donna, alla paura che porti via qualche cosa all’italiano per il migrante.
Per quanto riguarda la figura del migrante, quali sono possibili strategie per rimuovere, come la Costituzione stessa ci impone, gli ostacoli all’integrazione?
Il problema nasce quando non si tratta più di accoglienza di singoli ma diventa un discorso di masse che si spostano. Allora in questo contesto è evidente che il problema è talmente grande che non può farsene carico un solo paese. Si tratta di trovare soluzioni che tengano conto che i nostri ottomila chilometri di costa sono un confine europeo, non solo italiano. E da qui il problema dell’eventuale ripartizione dei migranti, quello della realizzazione di percorsi legali e protetti, evitando questo discorso dell’arrivo clandestino che alimenta una serie di attività illecite. A chi mi dice che il migrante è pericoloso perché stupra le nostre donne non posso che rispondere che le percentuali di violenza sono molto più elevate in ambito familiare. Il primo passo è quello di ottenere l’identificazione di chi arriva. Rimanga se c’è la possibilità che venga accolto in Italia o trovi altre collocazioni a livello europeo: non è concepibile affrontare il problema egoisticamente. Questo discorso presuppone che chi arriva rispetti le regole, e che chi accoglie sia disposto a farlo. Anche il pietismo è rischioso, perché è spesso portato avanti da chi non viene a contatto con queste realtà.
Come può la Repubblica, compresi quindi i singoli cittadini che la compongono, dare attuazione a questo importante principio di eguaglianza?
Con tutti gli strumenti del welfare state e con la collaborazione dei cittadini. La Costituzione ha riconosciuto l’importanza dell’impegno che i singoli possono svolgere in chiave di solidarietà. E’ questo il cosiddetto terzo settore, che è particolarmente importante perché altrimenti si corre il rischio che questi spazi vengano colmati dalla criminalità. Infine, dobbiamo ricordaci che la solidarietà nasce dall’articolo 2, in cui si parla di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo. La Costituzione però ci ricorda che essi hanno un’altra faccia, quella dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Questa è la chiave che consente di evitare che la diversità evolva in una forma di discriminazione o sopraffazione.