- Anche per la persona detenuta vale il principio della pari dignità sociale, che l’art. 3 della Costituzione garantisce a tutti. Il carcere è una formazione sociale nella quale i diritti fondamentali devono essere riconosciuti e garantiti, compatibilmente con la restrizione della libertà personale, e devono coniugarsi con i doveri (di chi è dentro, e di chi sta fuori) di solidarietà sociale.
- la giurisprudenza costituzionale riconosce, a chi sconta la pena, due ordini di diritti, fra loro connessi e sinergici: da un lato, il diritto (dovere) ad un percorso rieducativo, he si sviluppa nel passaggio progressivo dalla detenzione alle misure alternative, assicurato dall’art. 27 Cost. Da un altro lato i diritti fondamentali, all’identità, all’integrità psicofisica, alla scelta religiosa, al lavoro, all’istruzione, alla salute, alla socialità e così via, riconosciuti da altre norme della Costituzione, che sono patrimonio di tutti gli esseri umani, anche quando sono detenuti.
- Questi diritti, che debbono contemperarsi con la privazione della libertà personale e con le ragioni di sicurezza, assumono un significato se possibile ancor più essenziale esprimendo la garanzia di “quella parte di personalità umana che la pena non intacca” come ha affermato la Corte Costituzionale.
- Sono diritti compromessi dalle condizioni di fatto della vita carceraria e dal sovraffollamento; ma il loro rispetto è essenziale per concretizzare l’umanità del trattamento, senza la quale non vi possono essere né percorsi rieducativi, né pena ammissibile, secondo quanto richiede l’art. 27 Cost.
- La rieducazione è la finalità verso cui convergono le norme internazionali, la Costituzione, la legislazione interna, l’applicazione giurisprudenziale del diritto. Essenziale è, altresì. l’affinamento della sensibilità sociale verso il carcere: la società civile non deve ritenere il carcere come una realtà separata dal corpo sociale bensì come il riflesso delle identiche contraddizioni che agitano le odierne dinamiche sociali.