1. Il quadro normativo del finanziamento ai partiti pubblici è sconcertante nella sua genesi, frammentarietà e disorganicità: un singolare quanto evidente contrasto con l’asserita e conclamata esigenza di trasparenza che manca totalmente a partire dalla stessa disciplina legislativa che trae origine dalla legge n. 195 del 1974 e che si snoda in una serie di interventi legislativi all’insegna dell’ipocrisia e della oscurità.
2. La legge del 1974 prevedeva un sistema di rimborsi per le spese elettorali e di contributi per il finanziamento ordinario dei partiti con un sistema di controlli e di sanzioni, anche penali, sui finanziamenti privati. Con il referendum del 1993 venne meno la tranche del finanziamento pubblico ordinario dei partiti e si rafforzò quella del rimborso per le spese elettorali. Dopo altri interventi legislativi, la legge n. 157 del 1999 consolidava il sistema del rimborso (apparente) “in relazione alle spese elettorali sostenute”. In realtà si trattava di una “relazione” molto elastica, avuto riguardo al parametro (numero degli elettori iscritti); alla quantificazione e alla corresponsione su base annua; al vincolo parziale di destinazione; all’obbligo di rendiconto annuale per i partiti.
3. Una delle singolarità della disciplina attuale del finanziamento pubblico ai partiti è la parziale coincidenza fra le sue vicende nel caso di scioglimento anticipato delle Camere e nel pendent dell’estinzione anticipata di un partito, durante il periodo di corresponsione dei “rimborsi”. L’unico cenno criptico in proposito è quello che disciplina il conguaglio delle somme ricevute dal partito in eccesso, o la loro detrazione in caso di estinzione.
4. Anche la legge in gestazione ne traccia solo un passaggio non risolutivo riferendosi ad un generico obbligo, per i partiti e i movimenti politici che hanno partecipato alla ripartizione dei rimborsi, di presentare alla Commissione il rendiconto così come già previsto ex art. 8 della legge del 1997.
5. Resta quindi irrisolto normativamente il problema se i partiti politici estinti abbiano o meno diritto a percepire il “rimborso in relazione alle spese elettorali” cui si riferisce l’art. 1 della legge del 1999.
6. Le considerazioni sul tema appaiono, invero, condizionate (e rese problematiche) dalla ibrida natura dei finanziamenti pubblici in questione. Essi sono formalmente qualificati come «rimborso per le spese elettorali sostenute». Ove tale qualificazione corrispondesse alla reale natura del contributo ne deriverebbe un argomento a favore della perdurante spettanza del finanziamento anche nel caso di scioglimento perché il credito è già entrato, in via definitiva, nel patrimonio del partito in conseguenza dell’esito delle elezioni (salvo il problema del subentro dell’eventuale “successore”, da risolvere in base alla disciplina civilistica valevole per le associazioni non riconosciute).
7. Tale soluzione è, però, posta in dubbio da indici normativi di segno contrario, secondo i quali il finanziamento in parola sembra assumere (anche) una funzione di sostegno del partito in rapporto alle “spese correnti”, successive e indipendenti dalla competizione elettorale.
8. Il collegamento tra erogazione del versamento e perdurante “operatività” degli eletti sembrerebbe contraddire l’idea che il finanziamento risponda ad una mera finalità di rimborso di spese elettorali già erogate. In questa logica, si potrebbe sostenere che se lo scioglimento anticipato delle Camera fa cessare l’erogazione dei «rimborsi» a tutti i partiti, lo scioglimento anticipato del singolo partito dovrebbe produrre il medesimo effetto.
9. Occorre tener conto della possibile obiezione per cui, mentre nel caso di scioglimento anticipato delle Camere i parlamentari eletti in qualsiasi partito cessano di esercitare le loro funzioni, nel caso dello scioglimento “anticipato” del singolo partito, senza che le Camere si sciolgano, i parlamentari eletti in detto partito non interrompono il loro mandato, ma (di regola) confluiscono in altri partiti. Di conseguenza, ove si ritenesse che lo scioglimento del partito comporti la perdita del diritto al pagamento delle quote annuali successive a tale evento, si verificherebbe una perdita, per una parte degli eletti nel partito disciolto, non solo del rimborso delle spese elettorali, ma anche del sostegno all’attività politica successiva che rischierebbe di restare “scoperto”.
10.Il tema è reso ancor più problematico dal fatto che la corresponsione del contributo è espressamente subordinata alla regolare redazione di un apposito rendiconto, documento strutturalmente simile a un bilancio d’esercizio, la cui redazione è demandata al legale rappresentante o al tesoriere «cui per statuto sia affidata autonomamente la gestione delle attività patrimoniali del partito o del movimento politico». Tale assetto potrebbe far pensare che titolare del diritto al versamento delle quote annuali debba
11. essere un partito ancora “in attività”. D’altra parte, anche nella prospettiva del “riflusso” in altri schieramenti dei parlamentari eletti nel partito disciolto, potrebbe apparire singolare che il rendiconto prescritto dalla legge continui ad essere redatto dal legale rappresentante o dal tesoriere di un soggetto ormai inoperante e privo di qualsiasi potestà “di indirizzo” dell’attività degli “eredi” del “caro estinto”: a questo punto “caro” sotto molteplici aspetti, tutti non molto compatibili con l’esigenza di trasparenza che deve sovrintendere alla materia del finanziamento pubblico dei partiti.