Una delle condizioni essenziali per la civiltà e l’effettiva democrazia di un paese, è la sua capacità di garantire un servizio-giustizia efficiente ed in grado di assicurare l’attuazione in concreto dei principi costituzionali di legalità, libertà ed eguaglianza. Il pianeta-giustizia, in questo momento, è al centro di polemiche roventi che nascono sia dalla sua inefficienza cronica e tradizionale, nella giustizia civile come in quella penale; sia dal fatto che, ai mali antichi della giustizia, si aggiungono oggi i problemi che nascono dal ruolo di “supplenza” (impropria, ma necessitata), che la giustizia ha dovuto svolgere. Essa ha dovuto sostituirsi di fatto alla politica ed alla pubblica amministrazione, nel controllo e nella prevenzione – a monte ed in termini globali – di un’illegalità diffusa e di sistema, delle varie componenti e strutture della società politica e civile; e lo ha fatto, necessariamente, usando dei suoi strumenti tipici, che sono invece destinati all’accertamento di responsabilità penali personali di singoli e non di sistema. La politica, intesa nella sua globalità e nel suo significato più alto e non deteriore, sembra in questi ultimi anni aver rinunziato a svolgere il proprio ruolo di prevenire – attraverso leggi e strutture adeguate – il malcostume nella vita pubblica e sociale e di recuperare in esse una cultura della legalità: anche, se non soprattutto, garantendo alla giustizia i mezzi adeguati per svolgere il proprio compito con efficienza; e, prima ancora, assicurando le condizioni di minima di una società giusta ed efficiente, senza le quali è problematico (o forse utopistico) sperare di poter avere anche una giustizia “giusta” ed efficiente.
Edizioni Piemme 1996